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Prima Che Abbia Bisogno
Blake Pierce


Un Mistero di Mackenzie White #5
Da Blake Pierce, autore di successo del libro IL KILLER DELLA ROSA (un best-seller con più di 900 recensioni da cinque stelle), è in arrivo il volume #5 della serie di gialli mozzafiato di Mackenzie White. In PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Un Mistero di Mackenzie White – Libro 5), Mackenzie White, agente speciale dell’FBI, viene chiamata a risolvere un caso diverso da tutti quelli che ha affrontato finora: le vittime non sono tutte donne o tutti uomini, ma coppie. In un mese sono tre le coppie trovate morte in casa. Cercando di scoprire chi vorrebbe vedere morte le coppie destinate a vivere per sempre felici e contente, Mackenzie si addentra in una realtà inquietante. Ben presto scopre che non è tutto come sembra dietro la staccionata di una perfetta casa di periferia, e che l’oscurità è in agguato anche nelle famiglie all’apparenza più felici. Quando la caccia all’uomo si trasforma in un mortale gioco di gatto col topo, Mackenzie, ancora alle prese con il mistero irrisolto della morte del padre, capisce di essere troppo coinvolta, e che l’assassino potrebbe rivelarsi il più sfuggente di tutti: qualcuno di sorprendentemente normale. Thriller-noir psicologico dalla suspense mozzafiato, PRIMA CHE ABBIA BISOGNO è il libro #5 in una nuova, avvincente serie – con un nuovo, irresistibile personaggio – che vi terrà incollati alle pagine fino a tarda notte. Il libro #6 della serie I Misteri di Mackenzie White sarà presto disponibile. Di Blake Pierce è anche disponibile il best-seller IL KILLER DELLA ROSA (Un Mistero di Riley Paige – Libro #1), con più di 900 recensioni da cinque stelle, da scaricare gratuitamente!





Blake Pierce

Prima Che Abbia Bisogno. Un Mistero di Mackenzie White 5




Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone (al momento) di otto libri. Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta (al momento) da cinque libri; della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta (al momento) da quattro libri; della nuova serie dei misteri di KERI LOCKE.

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di più e restare in contatto con l’autore.



Copyright © 2016 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Kichigin, concessa su licenza di Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE



I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)



I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Book #5)

PRIMA CHE SENTA (Book #6)



I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARE (Libro #5)



I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)




PROLOGO


Joey Nestler sapeva che un giorno sarebbe stato un grande poliziotto. Suo padre era stato un agente, così come il padre di suo padre. Il nonno di Joey si era addirittura beccato una pallottola in petto nel 1968, andando in pensione in anticipo. Fare il poliziotto era nel sangue di Joey e anche se aveva solo ventotto anni e gli venivano assegnati soltanto incarichi del cavolo, sapeva che un giorno sarebbe arrivato molto in alto.

Non quel giorno, però. Gli era stato assegnato un altro stupido incarico in cui doveva fare da esca: una palla, insomma. Joey sapeva che avrebbe dovuto svolgere incarichi del genere almeno per altri sei mesi, ma gli stava bene. Girare lungo le coste di Miami su un’auto della polizia a primavera inoltrata era un bel compromesso. Le ragazze non vedevano l’ora di sfoggiare pantaloncini striminziti e bikini appena il tempo era bello, e poteva godersi meglio lo spettacolo quando doveva svolgere incarichi noiosi.

Una volta portato a termine il compito di quel giorno, sarebbe tornato a perlustrare le strade in cerca di bellezze al bagno. Parcheggiò davanti alle lussuose villette a schiera, ognuna delimitata da una serie di palme curate alla perfezione. Scese dalla volante senza troppa fretta, certo che si sarebbe rivelato un semplice caso di lite domestica. Eppure, doveva ammettere che i dettagli del suo incarico lo avevano incuriosito.

Quella mattina, una donna aveva chiamato il distretto sostenendo che la sorella non rispondeva né alle chiamate né alle email. Solitamente questo non avrebbe suscitato alcun interesse, ma verificando l’indirizzo della sorella, avevano scoperto che era proprio accanto alla villetta da cui la sera prima era partita una telefonata per rumori molesti. A quanto pareva, un cane aveva abbaiato furiosamente per tutta la notte, ma quando avevano provato a bussare o telefonare ai padroni, nessuno aveva risposto. La polizia aveva quindi richiamato la donna, che aveva confermato che la sorella aveva effettivamente un cane.

E ora eccomi qui, pensò Joey mentre saliva i gradini del portico.

Era già passato dal proprietario della casa a prendere le chiavi, e già quello rendeva il suo incarico leggermente più interessante del solito. Questo però non gli impedì di sentirsi sottoutilizzato e un po’ sciocco mentre bussava alla porta. Dato tutto quello che aveva sentito sul caso, non si aspettava nemmeno che aprisse qualcuno.

Bussò più volte, i capelli che iniziavano ad inumidirsi di sudore nel berretto sotto il sole.

Dopo due minuti, ancora niente. Non era sorpreso.

Joey prese la chiave e sbloccò la serratura. Socchiuse la porta e disse a voce alta:

“C’è nessuno? Sono l’agente Nestler, polizia di Miami. Adesso entro in casa e…”

Fu interrotto dall’abbaio di un piccolo cane, che arrivò di corsa. Era un Jack Russel terrier. Anche se la bestiola faceva del proprio meglio per intimidire quello sconosciuto alla porta, sembrava anche spaventato. Le zampe posteriori gli tremavano.

“Ehi, amico” disse Joey entrando. “Dove sono mamma e papà?”

Il cagnolino mugolò. Joey si fece avanti. Aveva fatto appena due passi nel piccolo ingresso, diretto al soggiorno, quando sentì un puzzo terribile. Abbassò lo sguardo sul cane e corrugò la fronte.

“È un po’ che nessuno ti porta fuori, eh?”

Il cane abbassò la testa, come se avesse capito perfettamente la domanda e si vergognasse.

Joey andò in soggiorno, riprovando a chiamare i padroni di casa.

“Salve? Cerco il signore o la signora Kurtz. Sono l’agente Nestler, polizia di Miami.”

Nemmeno stavolta ottenne risposta, ed era certo che non ne avrebbe ricevuta. Esaminò il soggiorno, constatando che era perfettamente pulito. Quindi entrò nella cucina adiacente e si portò una mano al viso per coprire naso e bocca. Il cane aveva scelto quella stanza come toilette; il pavimento era ricoperto di pipì e due mucchi di escrementi erano davanti al frigo.

Dall’altra parte della stanza c’erano la ciotola per il cibo e quella per l’acqua, entrambe vuote. Dispiacendosi per il cagnetto, Nestler riempì la ciotola di acqua del rubinetto. Il cane si mise subito a bere avidamente, mentre Nestler usciva dalla cucina. Arrivò alla rampa di scale che si trovava appena fuori dal soggiorno e si diresse al piano di sopra.

Appena giunto nel corridoio, Joey Nestler provò quello che suo padre chiamava l’istinto di un poliziotto per la prima volta nella sua carriera. Capì subito che c’era qualcosa che non andava. Sapeva che avrebbe scoperto qualcosa di brutto, qualcosa che non si sarebbe aspettato.

Estrasse la pistola dalla fondina, sentendosi un po’ sciocco mentre percorreva il corridoio. Superò un bagno (dove vide un’altra pozza di urina del cane) e un piccolo studio. Questo era leggermente in disordine, ma niente faceva pensare a qualcosa di allarmante.

In fondo al corridoio c’era una porta aperta, che rivelava la camera matrimoniale.

Nestler si immobilizzò sulla soglia, con il sangue che gli si gelava nelle vene.

Rimase a fissare la scena per cinque secondi prima di entrare.

Un uomo e una donna, con ogni probabilità il signore e la signora Kurtz, giacevano sul letto, morti. Sapeva che non stavano dormendo a causa della quantità di sangue che ricopriva lenzuola, pareti e moquette.

Joey fece due passi prima di fermarsi. Questa non era roba per lui. Doveva chiamare la centrale al più presto. Oltretutto aveva già visto abbastanza dal punto in cui si trovava. Il signor Kurtz era stato pugnalato al petto, mentre la signora Kurtz aveva la gola tagliata da un orecchio all’altro.

In vita sua Joey non aveva mai visto tanto sangue. A quella vista quasi prese a girargli la testa.

Uscì dalla camera da letto indietreggiando, senza pensare a suo padre o suo nonno, senza pensare al grande poliziotto che voleva diventare un giorno.

Si precipitò giù dalle scale, lottando contro una pesante ondata di nausea. Mentre tentava di prendere la trasmittente che aveva appuntata alla spalla dell’uniforme, vide il Jack Russel correre fuori dalla villetta, ma non gli importava.

Lui e il cagnolino erano davanti alla casa quando Nestler chiamò la centrale. Il cane guaiva al cielo come se quello avrebbe in qualche modo potuto cambiare l’orrore che era dentro casa.




CAPITOLO UNO


Mackenzie White era seduta alla sua postazione e faceva scorrere un dito lungo i bordi di un biglietto da visita. Era un biglietto da visita su cui si fissava da mesi ormai, un biglietto in qualche modo legato al suo passato, o meglio, all’assassino di suo padre.

Lo ritirava fuori ogni volta che chiudeva un caso, domandandosi quando si sarebbe concessa una pausa dal suo lavoro di agente per tornare in Nebraska e rivedere il luogo dov’era stato ucciso il padre con occhi diversi, senza essere condizionata dalla mentalità dell’FBI.

Ultimamente il lavoro la stava esaurendo e ogni caso che risolveva non faceva che alimentare la sua attrazione verso il mistero che circondava il padre. Ormai era così forte che non si sentiva più soddisfatta come un tempo quando chiudeva un caso. Quello più recente aveva portato all’arresto di due uomini che stavano progettando un traffico di cocaina in una scuola superiore di Baltimora. L’incarico era durato tre giorni e tutto era filato talmente liscio che non le era sembrato nemmeno lavoro.

Da quando si era trasferita a Quantico ne aveva avuti già abbastanza di grossi casi che l’avevano trascinata in un vortice di azione e loschi affari, scampandola per un pelo. Aveva perso un partner, era riuscita a far incazzare praticamente tutti i suoi superiori e si era fatta un nome.

L’unica cosa che non aveva era un amico. C’era sempre Ellington, ma l’intesa che c’era tra loro non somigliava affatto all’amicizia. E comunque ormai Mackenzie aveva rinunciato a lui. L’aveva respinta due volte, ogni volta per un motivo diverso, e lei non aveva intenzione di farsi prendere di nuovo in giro. Le stava bene che l’unico filo che li unisse fosse il loro rapporto di lavoro.

Nelle ultime settimane aveva avuto modo di conoscere meglio il suo nuovo partner, un novellino impacciato ma zelante di nome Lee Harrison. Gli erano stati affibbiati incarichi di burocrazia e ricerca, ma stava facendo uno splendido lavoro. Mackenzie sapeva che il direttore McGrath voleva semplicemente vedere come se la cavasse sommerso di lavoro. Per il momento Harrison aveva convinto tutti.

Pensò a lui osservando il biglietto da visita. In un paio di occasioni gli aveva chiesto di indagare sull’esistenza di un negozio chiamato Antiquariato Barker. E anche se aveva ottenuto più risultati di chiunque altro negli ultimi mesi, non si era arrivati a nulla di concreto.

Stava pensando a questo quando sentì dei passi attutiti avvicinarsi alla sua postazione. Mackenzie fece scivolare il biglietto da visita sotto un plico di fogli di fianco al portatile, fingendo di controllare le email.

“Ehi, White” disse una voce maschile familiare.

È talmente bravo da sentire che stavo pensando a lui, pensò. Si girò sulla sedia e guardò Lee Harrison.

“Ti prego, non chiamarmi per cognome” gli disse. “Basta Mackenzie. O Mac, se ti senti coraggioso.”

Lui sorrise impacciato. Era chiaro che Harrison non aveva ancora capito come parlarle, né come comportarsi con lei. A lei andava bene così. A volte si chiedeva se McGrath glielo avesse assegnato come partner temporaneo solo per farlo abituare ai colleghi difficili. Se era così, pensò che fosse una mossa geniale.

“D’accordo, allora… Mackenzie” disse. “Volevo solo farti sapere che il processo ai trafficanti è appena terminato. Vogliono sapere se hai bisogno di altre informazioni da loro.”

“No, sono a posto così” disse.

Harrison annuì, ma prima di andarsene corrugò la fronte, un gesto che Mackenzie stava cominciando a considerare tipico di lui. “Posso farti una domanda?” le chiese.

“Certo.”

“Ti senti… insomma, ti senti bene? Mi sembri molto stanca. E anche rossa in viso.”

Mackenzie avrebbe potuto facilmente prenderlo in giro per quel commento e metterlo in imbarazzo, ma decise di non farlo. Era un buon agente e lei non voleva fare la parte della collega che molestava il nuovo arrivato (per quanto fosse relativamente nuova lei stessa). Perciò rispose invece: “Sì, sto bene. È solo che ultimamente non dormo molto.”

Harrison annuì. “Capisco” disse. “Be’… allora cerca di riposare un po’.” Poi corrugò di nuovo la fronte e se ne andò, probabilmente per affrontare la montagna di lavoro che McGrath aveva in serbo per lui.

Distratta dal biglietto da visita e dagli innumerevoli misteri irrisolti che questo presentava, Mackenzie si concesse di mettere tutto da parte. Si mise in pari con le email e risistemò i documenti che si stavano accumulando sulla sua scrivania. Non le capitavano molte occasioni di vivere momenti privi di gloria come quello, e ne era grata.

Quando ad un certo punto il telefono si mise a squillare, Mackenzie lo afferrò ansiosa. Qualunque cosa pur di allontanarmi da questa scrivania.

“Pronto, sono Mackenzie White” rispose.

“White, sono McGrath.”

Si concesse un brevissimo sorriso. Anche se McGrath non era assolutamente la sua persona preferita, sapeva che ogni volta che la chiamava o veniva nella sua postazione era solitamente per affidarle qualche incarico.

A quanto pareva, era proprio quello il motivo della telefonata. Mackenzie non ebbe nemmeno il tempo di salutarlo che lui riprese a parlare a raffica, come suo solito.

“Ho bisogno che venga nel mio ufficio subito” le disse. “Porti anche Harrison.”

Ancora una volta, Mackenzie non ebbe modo di replicare. La linea si era interrotta prima che una singola parola potesse uscirle di bocca.

Ad ogni modo andava bene così. A quanto pareva, McGrath aveva un nuovo caso per lei. Forse sarebbe servito per stimolarle la mente e offrirle un ultimo momento di chiarezza prima di farsi da parte per concentrarsi sul caso di suo padre.

Spinta da una sorta di eccitazione spumeggiante, si alzò e andò a cercare Lee Harrison.


***

Osservare il comportamento di Harrison nell’ufficio di McGrath era un ottimo modo per Mackenzie di imparare qualcosa. Lo vide sedere impettito sul bordo della sedia mentre McGrath iniziava a parlare. Il giovane agente era chiaramente nervoso e impaziente di compiacere il capo. Mackenzie sapeva che era un perfezionista e che aveva una memoria quasi 0fotografica. Si chiese come funzionasse, se anche in quel momento stesse assorbendo ogni parola che usciva dalle labbra di McGrath come una spugna.

Mi ricorda un po’ me stessa, pensò concentrandosi allo stesso tempo su McGrath.

“Ecco cos’ho per voi due” disse McGrath. “Ieri mattina, la polizia dello Stato di Miami ci ha contattati per una serie di omicidi. In entrambi i casi le vittime erano una coppia di coniugi. Quindi quattro morti in tutto. Gli omicidi sono stati piuttosto brutali e sanguinolenti e finora non sembra esserci un collegamento tra loro. La violenza delle uccisioni, così come il fatto che si trattasse di coppie sposate e uccise nel letto, fa ritenere alla polizia di Miami che si tratti di un serial killer. Personalmente credo che sia troppo presto per giungere a questa conclusione.”

“Crede che possa trattarsi di una coincidenza?” chiese Mackenzie.

“Sì, è una possibilità” disse lui. “Ad ogni modo, hanno chiesto il nostro aiuto e io ho intenzione di mandare voi due. Harrison, questa sarebbe un’ottima opportunità per lei di diventare un agente sul campo e fare un po’ di pratica. White, mi aspetto che lei lo tenga d’occhio, senza però comandarlo a bacchetta. Intesi?”

“Sì, signore” disse Mackenzie.

“Vi farò avere tutti i dettagli e i biglietti per il volo entro un’ora. Direi che non dovrebbe volerci più di un paio di giorni. Avete domande?”

Mackenzie scosse la testa. Harrison rispose con un rapido “No, signore” e Mackenzie capì che stava facendo del proprio meglio per contenere l’eccitazione.

Non poteva biasimarlo. Per lei era lo stesso.

Nonostante quello che pensava McGrath, Mackenzie percepiva già che quel caso non sarebbe stato affatto banale.

Coppie.

Era la prima volta che le capitava.

E non poteva fare a meno di pensare che quel “piccolo” caso sarebbe diventato una cosa ben peggiore.




CAPITOLO DUE


Mackenzie sapeva perfettamente che uno dei luoghi comuni riguardo il governo era che tutto si muovesse a rilento, ma sapeva altrettanto bene che non si poteva dire la stessa cosa dell’FBI quando inviava i propri agenti sulla scena del crimine. Erano passate soltanto quattordici ore da quando era stata convocata nell’ufficio di McGrath, e Mackenzie stava già parcheggiando l’auto che aveva preso a noleggio davanti ad una fila di villette a schiera. Affiancò un’auto della polizia e vide che al suo interno era seduta un’agente.

Di fianco a lei, sul sedile del passeggero, Harrison stava leggendo gli appunti sul caso. Era rimasto per lo più in silenzio durante il viaggio e Mackenzie era stata tentata di provare a intavolare una conversazione con lui. Non capiva se fosse nervoso, intimorito o un po’ tutte e due le cose. Così, piuttosto che forzarlo a parlare con lei, pensò che sarebbe stato meglio per lui uscire da solo dal proprio guscio, soprattutto se McGrath prevedeva di continuare a farli lavorare insieme in futuro.

Mackenzie si prese un momento per ripassare tutto quello che sapeva sul caso. Chinò leggermente la testa all’indietro, chiuse gli occhi e richiamò tutto alla mente. La sua tendenza a ossessionarsi sui dettagli di un caso le rendeva piuttosto semplice immergersi nella propria mente e frugare come se ci fosse un archivio.

Una coppia uccisa, il che fa emergere subito alcune domande. Perché uccidere entrambi? Perché non solo uno?

Devo tenere gli occhi aperti per qualsiasi dettaglio che sembri anche lontanamente fuori posto. Potrebbe trattarsi di qualcuno che invidia lo stile di vita delle vittime.

Nessun segno di forzatura; i Kurtz hanno fatto entrare l’assassino volontariamente.

Aprì gli occhi e uscì dall’abitacolo. Poteva ipotizzare finché voleva basandosi su quello che aveva visto nei fascicoli, ma niente sarebbe stato più efficace di mettere piede sulla scena del crimine e guardarsi attorno.

Harrison scese dall’auto insieme a lei, nell’accecante sole di Miami. Mackenzie poteva sentire l’odore dell’oceano nell’aria, salato e con un sentore di pesce che non era necessariamente sgradevole.

Quando lei ed Harrison chiusero gli sportelli, anche l’agente nell’auto della polizia di fianco a loro scese dal mezzo. Mackenzie immaginò che si trattasse dell’agente incaricata di accoglierli. Sulla quarantina, era di una bellezza semplice; i corti capelli biondo cenere riflettevano la luce del sole.

“Agenti White ed Harrison?” chiese loro.

“Siamo noi” disse Mackenzie.

La donna tese loro la mano presentandosi. “Sono l’agente Dagney” disse. “Se vi serve qualunque cosa, ditemelo. Naturalmente, la scena del crimine è già stata ripulita, ma ho un fascicolo pieno di fotografie scattate quando la scena era ancora fresca.”

“Grazie” disse Mackenzie. “Per cominciare, credo di voler prima dare un’occhiata dentro casa.”

“Ma certo” acconsentì Dagney, salendo i gradini e prendendo le chiavi dalla tasca. Aprì la porta e fece cenno a Mackenzie ed Harrison di entrare per primi.

Mackenzie sentì subito odore di candeggina, o un altro detergente. Ricordava dal verbale che un cane era rimasto intrappolato in casa per almeno due giorni, facendo i suoi bisogni in giro più volte.

“La candeggina” disse Harrison “è stata usata per pulire i bisogni del cane?”

“Sì” confermò la poliziotta. “È stato fatto ieri sera. Abbiamo provato ad aspettare che arrivaste voi, ma la puzza era… davvero terribile.”

“Non dovrebbe essere un problema” disse Mackenzie. “La camera da letto si trova al piano di sopra, dico bene?”

Dagney annuì e li accompagnò su per le scale. “L’unica cosa che è stata modificata quassù è che sono stati rimossi i cadaveri e il lenzuolo” spiegò. “Il lenzuolo è ancora lì per terra, dentro una busta di plastica. Doveva essere spostato, per poter togliere i corpi dal letto. Il sangue… insomma, lo vedrete.”

Mackenzie notò che Harrison aveva rallentato leggermente, portandosi alle sue spalle. Mackenzie seguì Dagney alla porta della camera da letto, notando che era rimasta sulla soglia cercando in ogni modo di evitare di guardare all’interno.

Una volta entrata, Mackenzie vide che Dagney non aveva esagerato, così come i verbali che aveva letto. C’era molto sangue, più di quanto ne avesse visto in un solo luogo.

E, per un terrificante momento, le sembrò di essere in una stanza in Nebraska, la stanza di una casa che conosceva e che adesso era abbandonata. Le parve di guardare un letto intriso di sangue con sopra il cadavere del padre.

Scacciò l’immagine dalla mente sentendo i passi di Harrison che lentamente si avvicinava dietro di lei.

“Tutto ok?” gli chiese.

“Sì” disse lui, anche se il respiro sembrava un po’ affannoso.

Mackenzie notò che il sangue era per lo più sul letto, come c’era da aspettarsi. Il lenzuolo che era stato tolto dal letto e steso a terra un tempo era stato bianco. Adesso invece, coperto di sangue quasi del tutto secco, aveva una tonalità marrone rossastra, come di ruggine. Mackenzie si avvicinò lentamente al letto, certa che non avrebbe trovato prove. Anche se il killer si fosse casualmente lasciato alle spalle un capello o qualcosa con il suo DNA, sarebbe stato ricoperto da tutto quel sangue.

Osservò gli schizzi sulle pareti e sulla moquette, concentrandosi in particolare su quest’ultima, cercando tra il sangue una possibile orma.

Potrebbero esserci impronte, pensò. Per uccidere qualcuno in quel modo, con un tale spargimento di sangue, il killer doveva sicuramente averne anche addosso. Quindi anche se non ci sono impronte, forse c’è qualche traccia di sangue in giro per casa, che potrebbe essersi accidentalmente lasciato dietro andandosene.

Inoltre, come ha fatto il killer a ucciderli entrambi a letto? Uccidendone uno, l’altro probabilmente si sarà svegliato. O il killer è velocissimo, oppure ha preparato la scena con in cadaveri nel letto dopo il delitto.

“È un macello, eh?” commentò Harrison.

“Già” disse Mackenzie. “Dimmi… noti niente, così di primo istinto, che considereresti un indizio, una prova o comunque qualcosa su cui indagare?”

Lui scosse la testa, fissando il letto. Lei annuì in risposta, sapendo che tutto quel sangue avrebbe reso molto difficile trovare prove. Si mise persino carponi per controllare sotto il letto. Non vide altro che un paio di ciabatte e un vecchio album fotografico. Tirò l’album a sé e lo sfogliò. Nelle prime pagine c’erano le foto di un matrimonio, con la sposa che camminava verso l’altare di una grande chiesa, poi la coppia felice che tagliava la torta.

Corrugando la fronte, rimise l’album dove l’aveva trovato, poi si voltò verso Dagney, che era ancora sulla soglia, quasi girata di spalle. “Ha detto di avere le foto della scena, giusto?”

“Sì. Mi dia un secondo e gliele porto” rispose rapidamente e con un certo senso di urgenza, chiaramente impaziente di andarsene di sotto.

Quando Dagney se ne fu andata, Harrison uscì in corridoio. Si voltò verso la camera da letto e fece un profondo sospiro. “Hai mai visto una scena del crimine come questa?”

“Non con così tanto sangue” rispose Mackenzie. “Ho visto scene raccapriccianti, ma questa le supera tutte in quanto a sangue.”

Harrison sembrò riflettere a lungo sulle sue parole, mentre Mackenzie usciva dalla stanza. Tornarono al piano di sotto insieme, entrando in soggiorno proprio mentre Dagney rientrava dalla porta d’ingresso. Si radunarono nell’area bar che separava la cucina dal soggiorno. Dagney mise la cartellina sul bancone e Mackenzie la aprì. La prima foto mostrava il letto matrimoniale che aveva appena visto, ricoperto di sangue. L’unica differenza era che nella fotografia c’erano due corpi distesi, un uomo e una donna. I signori Kurtz.

Entrambi indossavano gli abiti che Mackenzie immaginò avessero messo per dormire. Il signor Kurtz (Josh, diceva il verbale) indossava una maglietta e un paio di boxer. La signora Kurtz (Julie) indossava una canottiera dalle bretelle sottili e pantaloncini da ginnastica aderenti. C’erano numerose foto, alcune che ritraevano i cadaveri così da vicino che a Mackenzie scapparono un paio di smorfie. La foto del collo sgozzato della signora Kurtz era particolarmente raccapricciante.

“Nel verbale non ho visto indicata con chiarezza l’arma del delitto” osservò Mackenzie.

“Perché nessuno ha capito quale fosse. Pensiamo semplicemente che si tratti di un coltello.”

Un coltello molto grosso, pensò Mackenzie distogliendo lo sguardo dal cadavere della signora Kurtz.

Notò che, persino nella morte, la signora Kurtz sembrava aver cercato di trovare conforto dal marito. La mano sinistra poggiava sulla coscia di lui. C’era un che di dolce in tutto questo, ma le spezzava anche il cuore.

“E che mi dice della prima coppia uccisa?” chiese Mackenzie.

“I signori Sterling” disse Dagney, estraendo parecchie foto e fogli di carta dal retro della cartellina.

Mackenzie osservò le foto e vide una scena simile a quella nelle precedenti. Una coppia distesa a letto e sangue ovunque. L’unica differenza era che il signor Sterling dormiva nudo, oppure il killer l’aveva spogliato.

Le due scene sono fin troppo simili, pensò Mackenzie. Quasi come se fossero state studiate a tavolino. Guardò le somiglianze, spostando lo sguardo da una foto all’altra.

Il coraggio e la forza di volontà necessari ad uccidere contemporaneamente due persone, e in modo così brutale… Questo tizio è estremamente motivato. E a quanto pare non la violenza estrema non lo spaventa.

“Mi corregga se sbaglio” disse Mackenzie “ma la polizia di Miami sta procedendo trattando gli omicidi come comuni effrazioni domestiche, giusto?”

“Be’, all’inizio sì” ammise Dagney. “Ma da quello che possiamo dire, non è stato rubato niente. E dato che questa è la seconda coppia ad essere uccisa in una settimana, sembra sempre meno probabile che si tratti di una semplice effrazione.”

“Sì, sono d’accordo” disse Mackenzie. “Ci sono collegamenti tra le coppie?” chiese Mackenzie.

“Finora non è saltato fuori niente, ma c’è una squadra al lavoro per scoprirlo.”

“Nel caso degli Sterling, c’erano segni di lotta?”

“No, nessuno.”

Mackenzie guardò di nuovo le due fotografie e le somiglianze le balzarono subito agli occhi. Una in particolare le fece accapponare la pelle.

Mackenzie guardò di nuovo la foto dei Kurtz. Vide la mano della moglie sulla coscia del marito.

E in quel momento ne fu sicura: quella era opera di un serial killer.




CAPITOLO TRE


Mackenzie seguì Dagney mentre questa li accompagnava alla centrale. Durante il tragitto, notò che Harrison stava scrivendo appunti nella cartellina su cui si era praticamente ossessionato per quasi tutto il viaggio da Washington a Miami. Ad un certo punto si fermò e la guardò con sguardo perplesso.

“Hai già una teoria, vero?” le chiese.

“No, non ho una teoria, però ho notato un paio di cose nelle fotografie che mi sono sembrate un po’ strane.”

“Vuoi condividere?”

“Non ancora” disse Mackenzie. “Se le dico adesso e poi devo ripeterle alla polizia, finirò per avere dubbi. Dammi tempo per mettere in ordine le idee.

Con un sorriso, Harrison tornò ai suoi appunti. Non si lamentò del fatto che lei gli nascondesse le cose (e infatti non era così) e non insisté oltre. Faceva del suo meglio per obbedirle ed essere efficace allo stesso tempo e Mackenzie lo apprezzava.

Nel tragitto verso la centrale, iniziò a scorgere l’oceano tra gli edifici che superavano. Non era mai stata attratta dal mare come alcune persone, ma poteva capirne il fascino. Persino in quel momento, mentre dava la caccia ad un killer, poteva sentire la sensazione di libertà che rappresentava. Le torreggianti palme e il sole pomeridiano perfetto di Miami lo rendevano ancora più bello.

Dieci minuti dopo, Mackenzie seguì Dagney nel parcheggio di un grosso edificio della polizia. Proprio come quasi ogni cosa in quella città, anch’esso aveva un aspetto da spiaggia. Enormi palme si ergevano lungo la stretta striscia di prato davanti all’edificio. L’architettura semplice riusciva a comunicare un senso di rilassatezza raffinata. Era un luogo accogliente, e quell’impressione fu confermata anche quando Mackenzie ed Harrison furono entrati.

“Saremo solo in tre, me compresa, a lavorare con voi sul caso” disse Dagney scortandoli lungo un ampio corridoio. “Adesso che siete qui, il mio superiore probabilmente resterà in disparte.”

Bene, pensò Mackenzie. Meno discussioni e obiezioni ci sono, meglio è.

Dagney li portò in una piccola sala conferenze in fondo al corridoio. All’interno, due uomini erano seduti ad un tavolo. Uno dei due stava collegando un proiettore ad un MacBook. L’altro digitava furiosamente su un piccolo tablet.

Entrambi sollevarono la testa quando entrarono dietro Dagney. Mackenzie notò il solito sguardo… che stava iniziando a scocciarla ma a cui ormai aveva fatto l’abitudine. Era uno sguardo che sembrava dire: Oh, una donna piuttosto attraente. Non me l’aspettavo.

Dagney fece delle rapide presentazioni, mentre Mackenzie e Harrison si sedevano al tavolo. L’uomo con il tablet era il capo della polizia Rodriguez, un uomo in là con l’età, brizzolato e con rughe profonde che gli solcavano il viso abbronzato. L’altro poliziotto doveva essere nuovo. Si chiamava Joey Nestler e a quanto pareva era stato lui ad aver scoperto i cadaveri dei signori Kurtz. Dopo le presentazioni, terminò di preparare il proiettore, che una volta acceso proiettò un’intensa luce bianca su un pannello appeso al muro dall’altra parte della stanza.

“Grazie per essere venuti” disse Rodriguez mettendo da parte il tablet. “Sentite, non ho intenzione di fare il tipico poliziotto che si intromette. Voi mi dite cosa vi serve e, nei limiti del ragionevole, ve lo farò avere. In cambio vi chiedo solo di aiutarci a chiudere il caso rapidamente senza trasformare la città in un circo.”

“Allora vogliamo la stessa cosa” replicò Mackenzie.

“Dunque, Joey ha tutti i documenti esistenti sul caso” proseguì. “Il rapporto del medico legale è arrivato stamattina e ci ha confermato quello che pensavamo. I coniugi Kurtz sono morti per dissanguamento dovuto alle ferite. Nel loro sistema non sono state trovate sostanze stupefacenti. Erano completamente puliti. Finora non abbiamo collegamenti rilevabili tra i due delitti. Quindi se avete qualche idea, mi piacerebbe sentirla.”

“Agente Nestler” disse Mackenzie “ha tutte le fotografie scattate su entrambe le scene del crimine?”

“Sì” confermò l’uomo. A Mackenzie ricordava molto Harrison: ansioso, un po’ nervoso e chiaramente desideroso di compiacere colleghi e superiori.

“Potrebbe proiettare le due foto in cui si vedono i cadaveri per intero affiancandole?” chiese Mackenzie.

Il poliziotto procedette rapido e nel giro di dieci secondi le immagini erano proiettate fianco a fianco. Vedere quelle immagini così luminose in quella stanza semi-buia era inquietante. Per evitare che gli altri perdessero la concentrazione rimuginando sulla gravità delle immagini, Mackenzie andò dritta al punto.

“Direi che possiamo escludere con certezza che gli omicidi siano avvenuti in seguito ad un comune tentativo di furto o di effrazione domestica. Non è stato rubato niente e non ci sono segni di scasso. Non ci sono nemmeno segni di lotta. Questo significa che chiunque sia stato ad uccidere quelle persone era stato probabilmente invitato ad entrare, oppure aveva le chiavi. Inoltre, gli omicidi sembrano essere stati compiuti rapidamente. Infine, l’assenza di sangue in altre parti della casa mi porta a pensare che gli omicidi siano avvenuti nella camera da letto. Il resto della casa era pulito.”

Dirlo ad alta voce la aiutò a capire quanto fosse strano.

Non solo questo tizio è stato fatto entrare in casa, ma addirittura in camera da letto. Questo significa che la possibilità che sia stato invitato è piccola. Doveva avere le chiavi, oppure sapere dove trovarne una copia.

Proseguì prima di lasciarsi distrarre dai propri ragionamenti.

“Voglio che osserviate queste foto perché ci sono due stranezze che saltano all’occhio, secondo me. Prima di tutto… osservate come tutte e quattro le vittime siano sdraiate sulla schiena, perfettamente dritte. Le gambe sono rilassate e composte… quasi come se fossero stati messi in posa. L’altra cosa è la più importante, se abbiamo a che fare con un serial killer. Guardate la mano destra della signora Kurtz.”

Lasciò alle quattro persone con lei nella stanza il tempo di osservare. Si domandò se Harrison l’avrebbe notato dicendolo agli altri. Dopo tre secondi nessuno parlava, così proseguì.

“La mano destra della donna è posata sulla coscia del marito. È l’unica parte del corpo in posizione diversa. Perciò o è una coincidenza, oppure è stato il killer a metterli in posa, spostando di proposito la mano.”

“E se anche fosse?” chiese Rodriguez. “Qual è il punto?”

“Ecco, ora guardate gli Sterling. Guardate la mano sinistra del marito.”

Stavolta non passarono tre secondi. Fu Dagney la prima a notare quello a cui si riferiva Mackenzie. Quando parlò, la sua voce era nervosa e roca.

“Ha la mano allungata e posata sulla coscia destra della moglie” disse.

“Esattamente” confermò Mackenzie. “Se fosse stato solo in una delle coppie, non l’avrei nemmeno fatto notare. Ma lo stesso gesto su entrambe le coppie rende evidente che il killer l’ha fatto di proposito.”

“Ma a che scopo?” chiese Rodriguez.

“È un simbolismo?” suggerì Harrison.

“Potrebbe essere” disse Mackenzie.

“Però non è molto su cui lavorare, vero?” chiese Nestler.

“Già” disse Mackenzie. “Ma almeno è qualcosa. Se è simbolico per il killer, c’è una ragione. Perciò è da qui che vorrei partire: vorrei una lista di sospettati in libertà condizionale per crimini violenti legati all’effrazione di domicilio. Non credo che si tratti di un’effrazione, ma è comunque la cosa più sensata da cui partire.”

“Sì, gliela faremo avere” disse Rodriguez. “Serve altro?”

“Per ora no. Il prossimo passo è parlare con famigliari, amici e vicini delle vittime.”

“Abbiamo già parlato con i parenti stretti dei Kurtz: un fratello, una sorella e i genitori di uno dei due. Se vuole può parlare di nuovo con loro, ma non avevano molto da dire. Il fratello di Josh Kurtz ha detto che, per quel che ne sapeva, il loro matrimonio era perfetto. L’unico litigio che hanno avuto è stato durante una partita di football, quando i Seminoles hanno giocato contro gli Hurricanes.”

“E i vicini di casa?” volle sapere Mackenzie.

“Abbiamo parlato anche con loro, ma è stata una cosa veloce. Per lo più riguardo la denuncia per rumori molesti che avevano fatto a causa del cane.”

“Allora è da lì che partiremo” disse Mackenzie guardando Harrison.

E, senza aggiungere altro, si alzarono e uscirono dalla stanza.




CAPITOLO QUATTRO


Mackenzie trovava leggermente inquietante tornare alle villette. Mentre si avvicinavano alla casa dei vicini sotto quel magnifico sole, sapere che nella casa accanto c’era un letto insanguinato pareva surreale. Mackenzie represse un brivido e distolse lo sguardo dall’abitazione dei coniugi Kurtz.

Mentre lei ed Harrison salivano i gradini che portavano alla porta dei vicini, il cellulare di Mackenzie emise un trillo, informandola che aveva ricevuto un messaggio. Lo tirò fuori e vide che era da parte di Ellington. Quando lo lesse alzò gli occhi al cielo.



Come va col novellino? Ti manco già?



Fu sul punto di rispondere, ma non voleva dargli corda. E poi non voleva sembrare distaccata e distratta davanti a Harrison. Sapeva che era presuntuoso pensarlo, ma quasi sicuramente lui la stava prendendo a modello. Perciò rimise il telefonino in tasca e raggiunse la porta d’ingresso. Lasciò che fosse Harrison a bussare, il quale lo fece con estrema prudenza.

Dopo parecchi secondi, una donna dall’aria agitata aprì la porta. Sembrava sui quarantacinque anni. Indossava una canottiera larga e degli shorts che somigliavano più a mutandine che a pantaloncini. A giudicare dall’aspetto, doveva essere un’assidua frequentatrice della spiaggia ed era evidente che si era rifatta il naso e forse anche il seno.

“Posso aiutarvi?” disse la donna.

“È lei Demi Stiller?”

“Sì, perché?”

Mackenzie estrasse il distintivo con un’agilità esperta che stava migliorando sempre più. “Siamo gli agenti White e Harrison, dell’FBI. Speravamo di poter parlare con lei a proposito dei suoi vicini di casa.”

“Sì, d’accordo” disse Demi “anche se ho già parlato con la polizia.”

“Lo so” la informò Mackenzie “ma vorrei farle domande più approfondite. Se ho capito bene, quando ha parlato con la polizia era piuttosto esasperata dal cane.”

“Sì, è così” confermò Demi facendoli entrare e chiudendo la porta alle loro spalle. “Naturalmente non avevo idea che fossero stati uccisi quando ho fatto quella telefonata.”

“Ma certo” disse Mackenzie. “Non siamo qui per quello. Volevamo solo cercare di capire meglio come vivevano i signori Kurtz. Lei li conosceva bene?”

Demi li aveva portati nella cucina, dove Mackenzie e Harrison si accomodarono al bancone dell’angolo bar. La disposizione delle stanze era identica a quella di casa Kurtz. Mackenzie notò Harrison guardare con scetticismo verso le scale fuori dal soggiorno.

“Non eravamo amici, se è questo che vuole sapere” disse Demi. “Ci salutavamo quando ci incrociavamo e un paio di volte abbiamo fatto una grigliata con loro nella veranda sul retro, ma nient’altro.”

“Per quanto tempo sono stati suoi vicini?” chiese Harrison.

“Per poco più di quattro anni, direi.”

“E direbbe che erano dei buoni vicini?” aggiunse Mackenzie.

Demi scrollò leggermente le spalle. “In linea di massima, sì. A volte facevano un po’ di confusione quando ospitavano gente per guardare le partite, ma nulla di terribile. A dire la verità non avrei neanche chiamato la polizia per lamentarmi del cane. L’unico motivo per cui l’ho fatto è perché non mi ha aperto nessuno quando sono andata a bussare.”

“Immagino che non sappia dirci se c’erano persone che andavano regolarmente da loro, vero?”

“Non direi” disse Demi. “Anche gli sbirri hanno chiesto la stessa cosa. Io e mio marito ci abbiamo riflettuto e non mi sembra di ricordare di aver visto altre macchine parcheggiate spesso qui, oltre la loro.”

“Ho capito. E sa per caso se svolgessero qualche attività che ci possa fornire altre persone con cui parlare? Frequentavano club o avevano qualche strano hobby?”

“Non che io sappia” disse Demi. Mentre parlava guardava la parete, come se cercasse di vedere la casa dei Kurtz attraverso di essa. Aveva un’espressione triste, forse per la perdita dei Kurtz, oppure semplicemente per essere stata coinvolta in quella situazione.

“Ne è sicura?” insisté Mackenzie.

“Sì, ne sono praticamente certa. Credo che il marito giocasse a racquetball. L’ho incrociato un paio di volte uscendo dalla palestra. Quanto a Julie, invece, non saprei. So che le piaceva disegnare, ma solo perché una volta mi ha fatto vedere i suoi disegni. A parte quello…no. Stavano per lo più da soli.”

“C’è altro, qualunque cosa, che secondo lei saltava all’occhio?”

“Ecco” disse Demi, guardando ancora la parete “lo so che può sembrare un po’ osceno, ma io e mio marito capivamo che avevano una vita sessuale piuttosto intensa. A quanto pare le pareti sono molto sottili, oppure erano loro a fare molto rumore. Non si contano le volte in cui li abbiamo sentiti. A volte non erano affatto rumori smorzati… ci stavano proprio dando dentro, capite?”

“In modo violento?” chiese Mackenzie.

“No, non sembrava mai nulla del genere” rispose Demi, leggermente in imbarazzo. “Erano solo molto appassionati. Era una cosa di cui avremmo spesso voluto lamentarci con loro, ma non l’abbiamo mai fatto. Era imbarazzante, capite?”

“Ma certo” disse Mackenzie. “A proposito di suo marito, invece, dove si trova?”

“Al lavoro. Fa il turno dalle nove alle cinque. Io ho un lavoro part time da casa, gestisco un servizio editoriale.”

“Potrebbe ripetergli le stesse domande che abbiamo fatto a lei per essere certi di avere tutte le informazioni possibili?” chiese Mackenzie.

“Sì, certamente.”

“Grazie per il tempo che ci ha dedicato, signora Stiller. Potremmo richiamarla in un secondo momento se abbiamo altre domande.”

“Va bene” disse Demi mentre li riaccompagnava all’uscita.

Quando furono fuori e Demi Stiller ebbe chiuso la porta, Harrison si voltò verso la villetta che Josh e Julie Kurtz avevano chiamato casa. “Quindi l’unica cosa che abbiamo imparato è che avevano una strepitosa vita sessuale?” domandò.

“Così sembra” disse Mackenzie. “Forse questo ci dice che il loro matrimonio era solido. Se consideriamo anche le dichiarazioni dei parenti, secondo cui il loro era un matrimonio perfetto, è ancora più difficile trovare una spiegazione per la loro morte. Oppure per contro potrebbe essere più facile. Se avevano un bel matrimonio e non avevano problemi, si può pensare invece a qualcuno che avesse qualcosa contro di loro. Ora… guarda i tuoi appunti. Tu dove andresti adesso?”

Harrison pareva un po’ sorpreso da quella domanda, ma diligentemente osservò il quaderno dove teneva tutti gli appunti e i documenti. “Dobbiamo controllare la prima scena del crimine, la casa degli Sterling. I genitori del marito vivono a dieci chilometri dalla casa, quindi potremmo fare un salto da loro.”

“Mi sembra una buona idea” disse lei. “Hai gli indirizzi?”

Gli lanciò le chiavi dell’auto e andò dal lato del passeggero. Si prese un momento per gustarsi lo sguardo sorpreso e orgoglioso di Harrison a quel semplice gesto mentre afferrava le chiavi.

“Forza, fammi strada” gli disse.




CAPITOLO CINQUE


La casa degli Sterling era a diciotto chilometri di distanza dalla villetta a schiera dei Kurtz. Mackenzie non poté fare a meno di ammirarla mentre Harrison percorreva il lungo vialetto in cemento. La casa si ergeva ad una cinquantina di metri dalla strada principale, ed era delimitata da magnifiche aiuole fiorite e svettanti alberi. L’edificio era piuttosto moderno, con finestre e travi in legno grezzo. Sembrava una casa idilliaca e costosa, per una coppia benestante. L’unico particolare che rompeva quell’illusione erano i sigilli gialli della polizia sulla porta d’ingresso.

Quando si incamminarono verso di essa, Mackenzie notò il silenzio che permeava il luogo. Era isolato dalle lussuose case dei vicini da un fitto boschetto, un rigoglioso muro verde che appariva curato e costoso come tutto in quella parte di città. Anche se la proprietà non aveva uno sbocco sulla spiaggia, si poteva sentire il mare mormorare in sottofondo.

Mackenzie si chinò per superare i sigilli e prese la chiave di riserva che le aveva dato Dagney. Entrarono nell’ampio ingresso e, ancora una volta, Mackenzie fu spiazzata dal silenzio assoluto. Si guardò intorno studiando la disposizione delle stanze. Un corridoio si allungava alla loro sinistra, terminando in una cucina. Il resto della casa era piuttosto aperto; il salotto e la sala da pranzo erano uniti, e in fondo c’era una veranda chiusa.

“Cosa sappiamo di quel che è successo qui?” Mackenzie chiese a Harrison. Naturalmente lo sapeva già, ma voleva che fosse lui a esporre i fatti, per abituarsi prima che il caso decollasse davvero.

“Deb e Gerald Sterling” disse Harrison. “Trentasei anni lui, trentotto lei. Uccisi in camera da letto nello stesso modo dei Kurtz, anche se almeno tre giorni prima di loro. I cadaveri sono stati trovati dalla donna di servizio poco dopo le otto del mattino. Il rapporto del medico legale dice che sono stati uccisi la sera precedente. Dalle prime indagini non sono risultati indizi di alcun genere, ma la scientifica sta ancora analizzando delle fibre trovate sulla cornice della porta d’ingresso.”

Mackenzie annuiva mentre Harrison snocciolava le informazioni. Intanto studiava il piano di sotto, cercando di farsi un’idea di che tipo di persone fossero gli Sterling, prima di salire nella stanza dove erano stati uccisi. Superò una grossa libreria che si trovava tra la sala da pranzo e il salotto. I libri erano quasi tutti romanzi, per lo più di autori come King, Grisham, Child e Patterson. C’erano anche alcuni volumi dedicati all’arte. Insomma, libri che non lasciavano intuire nulla di personale a proposito dei coniugi Sterling.

Uno scrittoio a serrandina era sistemato contro la parete del salotto. Mackenzie lo aprì per guardare all’interno, ma non c’era niente di rilevante, soltanto penne, fogli di carta, qualche foto e altre cianfrusaglie.

“Andiamo di sopra” disse Mackenzie.

Harrison annuì e fece un profondo e tremante sospiro.

“Non preoccuparti” tentò di rassicurarlo lei. “Anche a me ha fatto un certo effetto la casa dei Kurtz. Però fidati… queste situazioni migliorano.”

Lo sai che questa non è necessariamente una cosa buona, vero? pensò fra sé. Fino a che punto sei diventata insensibile da quando hai visto il cadavere di quella donna nel campo di granturco in Nebraska?

Scacciò quei pensieri dalla mente mentre saliva le scale con Harrison. Il piano di sopra consisteva in un lungo corridoio che portava soltanto a tre stanze. Sulla sinistra si apriva un grosso studio. Era ordinato al punto da sembrare quasi vuoto e affacciava sul boschetto sul retro della casa. L’enorme bagno aveva due lavandini, un’ampia doccia, una vasca e un armadio per la biancheria grosso quanto la cucina di Mackenzie.

Esattamente come al piano di sotto, non c’era nulla che aiutasse a capire meglio gli Sterling o il motivo per cui qualcuno li volesse morti. Senza sprecare altro tempo, Mackenzie si diresse in fondo al corridoio, dove la camera da letto aveva la porta aperta. Il sole inondava la stanza da una grande finestra sulla parete sinistra. La luce sommergeva i piedi del letto, trasformando il colore del sangue in quel punto da marrone a rosso acceso.

In un certo senso dava il capogiro entrare nella camera da letto di una casa così immacolata e vedere tutto quel sangue sul letto. Il pavimento era in parquet, ma Mackenzie riusciva a distinguere comunque degli schizzi di sangue qua e là. Sulle pareti non c’era tanto sangue come in casa Kurtz, soltanto alcune gocce che sembravano comporre un macabro quadro astratto.

Nell’aria c’era un tenue odore metallico, l’odore del sangue secco. Nonostante non fosse intenso, la stanza ne sembrava impregnata. Mackenzie camminò lungo il bordo del letto, osservando le lenzuola grigio chiaro macchiate di sangue. Sul lenzuolo di sopra vide un segno che poteva essere stato lasciato da un coltello. Osservandolo da vicino ne ebbe la conferma.

Dopo aver completato il giro intorno al letto, Mackenzie era sicura che lì non ci fosse niente che avrebbe fatto progredire le indagini. Si guardò intorno, osservando i comodini, le cassettiere e la postazione TV, in cerca del più piccolo dettaglio.

Vide una piccola dentellatura nella parete e la osservò da vicino. Non era più larga di mezzo centimetro e intorno c’era una macchia di sangue. Sotto c’era altro sangue, una goccia che si era seccata sulla parete e una macchia sul pavimento, proprio al di sotto.

Si avvicinò alla parete per osservare la dentellatura più da vicino. Era di una forma singolare, e il fatto che intorno ci fosse del sangue le faceva pensare che una fosse la diretta causa dell’altro. Si rimise dritta e controllò a che altezza del corpo si trovava il segno. Sollevò leggermente il bracciò e lo piegò. Così facendo, il gomito si allineò quasi perfettamente con il buco.

“Cos’hai trovato?” le chiese Harrison.

“Segni di colluttazione, credo” rispose.

Lui la raggiunse e notò il segno. “Non è molto come indizio, vero?” chiese.

“No, non proprio. Ma il sangue lo rende degno di nota. Oltre al fatto che la casa è in ottime condizioni. Mi viene da pensare che il killer abbia fatto tutto quello che poteva per nascondere i segni di lotta. In un certo senso ha sistemato tutta la casa, ma non è riuscito a nascondere questo segno.”

Abbassò lo sguardo sulla macchia di sangue sul parquet. Era sbiadita e dai bordi indistinti.

“Guarda” disse indicando. “Proprio lì, sembra che qualcuno abbia tentato di ripulire la scena. Però aveva fretta, oppure questa macchia non veniva via.”

“Forse dovremmo tornare a controllare anche a casa dei Kurtz.”

“Forse” disse Mackenzie, anche se era sicura che avessero esaminato la casa a fondo.

Si allontanò dal muro e andò all’enorme cabina armadio. Guardando all’interno vide che anche lì era tutto in ordine.

Notò un’unica cosa che, rispetto al resto della casa, poteva essere considerata in disordine. Una maglietta e un paio di pantaloni erano appallottolati quasi contro la parete dell’armadio. Prendendoli, vide che si trattava di abiti maschili, forse gli ultimi che Gerald Sterling avesse indossato.

Fece un tentativo controllando le tasche dei pantaloni. In una trovò diciassette centesimi. Nell’altra, uno scontrino accartocciato. Lo spiegò e vide che era stato emesso da un negozio di alimentari cinque giorni prima… l’ultimo giorno di vita dell’uomo. Osservò lo scontrino e iniziò a riflettere.

In quale altro modo possiamo scoprire cos’hanno fatto nel loro ultimo giorno di vita? O nell’ultima settimana, o nell’ultimo mese?

“Harrison, nel suo verbale, la polizia di Miami non aveva forse dichiarato di aver controllato i cellulari delle vittime in cerca di indizi?”

“Sì, è così” disse Harrison mentre girava cauto intorno al letto insanguinato. “Hanno controllato la rubrica, il registro delle chiamate, le email, i file scaricati, tutto.”

“Però non hanno controllato la cronologia di navigazione Internet, vero?”

“No, non mi sembra.”

Rimettendo lo scontrino nei jeans, Mackenzie uscì dall’armadio e dalla camera da letto. Tornò al piano di sotto, con Harrison che la seguiva.

“Cosa c’è?” le chiese Harrison.

“Ho un’intuizione” disse. “Anzi, una speranza.”

Tornò allo scrittoio e lo aprì di nuovo. In fondo c’era un piccolo cestino, da cui spuntavano delle penne e un libretto degli assegni. Se tenevano la casa in ordine perfetto, immagino sia così anche per il libretto degli assegni.

Lo prese e scoprì di avere ragione. Tutti gli importi erano annotati meticolosamente. Ogni transazione era scritta con caratteri leggibili e con quanti più dettagli possibile. Erano riportati persino i prelievi Bancomat. Mackenzie capì nel giro di venti secondi che il libretto faceva riferimento ad un conto secondario degli Sterling, non a quello principale. Al momento della loro morte, infatti, c’erano poco più di settemila dollari.

Controllò il registro per vedere se ci fosse qualcosa che poteva fornirle degli indizi, ma nulla saltava all’occhio. Però vide delle abbreviazioni che non capiva. Le transazioni per quelle voci erano quasi tutte tra i sessanta e i duecento dollari. Una era di duemila dollari.

Anche se nessuna voce nel registro sembrava strana, quelle abbreviazioni sconosciute, forse iniziali di nomi, le rimasero impresse. Scattò alcune foto e rimise a posto il libretto.

“Hai qualche idea?” chiese Harrison.

“Forse” disse lei. “Potresti chiamare Dagney e chiederle di farci avere i registri finanziari degli Sterling dell’ultimo anno? Assegni, carte di credito, anche PayPal se lo usavano.”

“Certamente” disse Harrison prendendo subito il cellulare.

In fin dei conti non mi dispiace affatto lavorare con lui, pensò Mackenzie.

Lo ascoltò parlare con Dagney mentre richiudeva lo scrittoio e tornava a guardare verso le scale.

Qualcuno ha salito quelle scale quattro notti fa e ha ucciso una coppia sposata, pensò, cercando di immaginarsi la scena. Ma perché? E perché non c’erano segni di effrazione?

La risposta era semplice: proprio come nel caso dei Kurtz, l’assassino è stato fatto entrare in casa. E questo significa che lo conoscevano e l’hanno invitato ad entrare, oppure l’assassino stava recitando una parte… di qualcuno che conoscevano o di una persona in cerca di aiuto.

Quella teoria sembrava fragile ma sapeva che aveva un fondo di verità. Se non altro, creava un debole nesso tra le due coppie.

E per ora, quel collegamento era abbastanza per andare avanti.




CAPITOLO SEI


Anche se aveva sperato di poter evitare di parlare con le famiglie delle vittime, Mackenzie si ritrovò a completare gli incarichi sulla sua lista più rapidamente di quanto si sarebbe aspettata. Dopo essersi lasciata alle spalle la casa degli Sterling, la mossa più logica per avere risposte era andare dai parenti stretti delle due famiglie. Nel caso dei coniugi Sterling, il parente più prossimo era una sorella che viveva a una quindicina di chilometri dalla villetta dei Kurtz, mentre il resto della famiglia viveva in Alabama.

I Kurtz invece avevano parecchi famigliari nelle vicinanze. Josh Kurtz non si era spostato molto dalla sua casa d’origine, infatti viveva a trenta chilometri non solo dai suoi genitori, ma anche dalla sorella. Poiché che la polizia distrettuale di Miami aveva già parlato in modo approfondito con i signori Kurtz quella mattina, Mackenzie optò per fare visita alla sorella di Julie Kurtz, una ragazza di ventidue anni.

Sara Lewis sembrò più che felice di riceverli e, nonostante avesse ricevuto la notizia della morte della sorella da meno di due giorni, sembrava aver accettato la cosa.

Li accolse nella sua casa a Overtown, una pittoresca abitazione su un unico piano che non era più grande di un modesto appartamento. Era arredata con pochi mobili e nell’aria aleggiava quel silenzio teso che Mackenzie aveva percepito in molte altre case dove abitava qualcuno che aveva subito una perdita recente. Sara sedeva sul bordo della poltrona, stringendo una tazza di tè fra le mani. Era evidente che aveva pianto parecchio; inoltre, non sembrava che fosse riuscita a dormire molto.

“Immagino che se è stato coinvolto l’FBI” disse “significa che ci sono stati altri omicidi?”

“Sì, è così” confermò Harrison. Mackenzie aggrottò brevemente le sopracciglia, desiderando che non avesse divulgato così facilmente quell’informazione.

“Tuttavia” intervenne Mackenzie per evitare che Harrison rivelasse altro, “naturalmente non possiamo affermare con certezza che esista un nesso tra i casi senza un’indagine approfondita. Per questo siamo stati chiamati.”

“Farò tutto ciò che posso per aiutarvi” disse Sara Lewis. “Anche se ho già risposto alle domande della polizia.”

“Sì, capisco, grazie” disse Mackenzie. “Vorrei solo occuparmi di un paio di aspetti che potrebbero aver tralasciato. Ad esempio, per caso hai un’idea della situazione finanziaria di tua sorella e tuo cognato?”

Era evidente che Sara trovasse la domanda strana, ma fece del proprio meglio per rispondere. “Stavano bene, direi. Josh aveva un buon lavoro e non spendevano molti soldi. A volte Julie addirittura mi sgridava se spendevo i miei soldi con leggerezza. Insomma, non erano certo ricchi sfondati… per quel che so. Però stavano bene.”

“La vicina di casa ci ha riferito che a Julie piaceva disegnare. Era solo un hobby o ci faceva anche soldi?”

“Era più un hobby” disse Sara. “Era abbastanza brava, ma sapeva di non essere niente di spettacolare.”

“E che mi dici dei suoi ex? O delle ex fidanzate di Josh?”

“Julie aveva qualche ex, ma nessuno l’ha presa male quando si sono lasciati. Tra l’altro, vivono tutti quasi dall’altra parte del Paese. So per certo che due di loro sono sposati. Quanto a Josh, non credo avesse delle ex. Cioè… accidenti, non lo so. Però erano davvero una bella coppia. Sul serio, al punto da essere quasi disgustosi in pubblico. Quel genere di coppie.”

La visita sembrava troppo breve per finire, ma Mackenzie aveva solo un’altra questione da approfondire e non sapeva bene come arrivarci. Ripensò a quelle strane voci nel libretto degli assegni degli Sterling, ancora incapace di comprenderli.

Probabilmente non è niente, pensò. Ognuno tiene il libretto in modo diverso, tutto qui. Però vale la pena controllare.

Pensando alle abbreviazioni che aveva visto nel libretto degli assegni degli Sterling, Mackenzie proseguì. Mentre apriva la bocca per parlare, sentì il cellulare di Harrison vibrargli in tasca. Lui controllò rapidamente e ignorò la chiamata. “Scusa” disse.

Ignorando l’interruzione, Mackenzie chiese: “Sai per caso se Julie o Josh fossero coinvolti in un’organizzazione di qualche tipo, oppure un club o una palestra? Un posto a cui dovessero versare soldi con regolarità?”

Julie ci pensò per un momento, ma scosse la testa. “Non mi risulta. Come ho detto… non spendevano molti soldi. L’unico pagamento mensile di Julie di cui sono a conoscenza, a parte le bollette, era il suo account Spotify, ovvero solo dieci dollari.”

“E per caso qualcuno, tipo un avvocato, ti ha già contattata per la disposizione dei loro averi?” chiese Mackenzie. “Mi dispiace chiederlo, ma potrebbe essere importante.”

“No, non ancora” rispose. “Erano così giovani, non so nemmeno se avessero già preparato un testamento. Accidenti… adesso è questo che mi aspetta, vero?”

Mackenzie si alzò, incapace di rispondere alla domanda. “Grazie ancora per aver parlato con noi, Sara. Se ti viene in mente qualunque cosa riguardo quello che ti ho chiesto, ti prego di chiamarmi.”

Così dicendo, passò a Sara un biglietto da visita. Sara lo prese e lo mise in tasca mentre li accompagnava alla porta. Non con fare sgarbato, ma era chiaro che non vedeva l’ora che se ne andassero.

Una volta chiusa la porta alle loro spalle, Mackenzie si trovò sul portico di Sara con Harrison. Pensò di riprenderlo per aver rivelato così velocemente a Sara che c’erano stati altri omicidi che potevano essere correlati a quello della sorella. Però era stato un errore in buona fede, uno che anche lei aveva fatto in un paio di occasioni all’inizio della sua carriera. Perciò lasciò correre.

“Posso farti una domanda?” le chiese Harrison.

“Certo” disse Mackenzie.

“Perché ti sei fissata sulla loro situazione economica? C’entra quello che hai visto dagli Sterling?”

“Sì. Per adesso è solo una sensazione, ma alcune delle transazioni erano…”

Il cellulare di Harrison ricominciò a vibrare. Lui lo prese con aria imbarazzata. Controllò il display, fece per rimettersi il telefono in tasca, poi però lo tenne in mano mentre tornavano all’auto.

“Scusa, devo rispondere” disse. “È mia sorella. Ha chiamato anche mentre eravamo dentro, il che è strano.”

Mackenzie non gli prestò molta attenzione mentre salivano in auto. Sentì distrattamente quello che diceva al telefono. Tuttavia, una volta che ebbe avviato l’auto e si fu immessa in strada, capì dal suo tono di voce che doveva essere successo qualcosa di grave.

Quando Harrison chiuse la chiamata, aveva un’espressione scioccata. Il labbro inferiore era arricciato in una smorfia.

“Harrison?”

“Mia madre è morta stamattina” disse.

“Oh mio Dio” disse Mackenzie.

“All’improvviso… per un attacco di cuore. Lei…”

Mackenzie capì che stava lottando per non scoppiare in lacrime. Lui voltò la testa dall’altra parte, guardando fuori dal finestrino del passeggero, e si lascò andare.

“Mi dispiace così tanto, Harrison” gli disse. “Devi tornare a casa. Ci penso io a prenotare un volo. Hai bisogno di altro?”

Lui si limitò a scuotere brevemente la testa, ancora con lo sguardo rivolto al finestrino, mentre piangeva in modo un po’ più aperto.

Mackenzie prima chiamò a Quantico. Non riuscì a parlare direttamente con McGrath, così lasciò un messaggio alla sua segretaria, informandola di quello che era successo e che Harrison sarebbe tornato a Washington il prima possibile. Poi chiamò l’aeroporto e prenotò il primo volo disponibile, che sarebbe decollato dopo tre ore e mezza.

Appena terminò la chiamata, il suo cellulare squillò. Rivolgendo uno sguardo solidale verso Harrison, rispose. Le sembrava terribile tornare a pensare al lavoro dopo quella notizia, ma aveva un caso da risolvere e ancora nessuna pista.

“Sì, sono l’agente White” disse.

“Agente White, sono l’agente Dagney. Ho pensato che volesse essere informata che abbiamo una potenziale pista.”

“Potenziale?” ripeté lei.

“Insomma, sicuramente combacia con il profilo. È un tizio arrestato più volte per effrazione domestica, due delle quali includevano aggressione e violenza sessuale.”

“Nella stessa zona dei Kurtz e degli Sterling?”

“È qui che la cosa si fa promettente” disse Dagney. “Uno dei casi in cui c’è stata violenza sessuale si è verificato nello stesso gruppo di villette a schiera dove vivevano i Kurtz.”

“Abbiamo un indirizzo dove trovare questo tizio?”

“Sì, lavora in un’officina. Una piccola. E abbiamo la conferma che in questo momento si trova lì. Il suo nome è Mike Nell.”

“Mi mandi l’indirizzo e andrò a parlare con lui. Si sa niente dei registri finanziari richiesti da Harrison?” chiese Mackenzie.

“Non ancora. Ma se ne stanno occupando alcuni dei nostri uomini. Non dovrebbe volerci molto.”

Mackenzie chiuse la telefonata e fece del proprio meglio per lasciare a Harrison un momento per il suo dolore. Adesso aveva smesso di piangere, ma stava chiaramente facendo uno sforzo per ricomporsi.

“Grazie” disse Harrison asciugandosi una lacrima dal viso.

“Per cosa?” replicò Mackenzie.

Lui si strinse nelle spalle. “Per aver chiamato McGrath e l’aeroporto. Mi dispiace per questo fastidio nel bel mezzo di un caso.”

“Non è un fastidio” disse lei. “Harrison, mi dispiace tanto per la tua perdita.”

Poi la macchina si fece silenziosa e, che le piacesse o meno, la mente di Mackenzie scivolò nuovamente in modalità lavorativa. Da qualche parte là fuori c’era un assassino, che apparentemente voleva vendicarsi delle coppie felici. Forse la stava aspettando proprio in quel momento.

E Mackenzie non vedeva l’ora.




CAPITOLO SETTE


Lasciare Harrison al motel fu una sensazione dolceamara. Mackenzie avrebbe voluto fare di più per lui, o almeno offrirgli qualche altra parola di conforto. Alla fine, invece, si limitò a salutarlo con un abbozzato cenno della mano mentre lui saliva nella sua stanza a fare le valigie e chiamare un taxi che lo portasse in aeroporto.

Una volta che si fu chiuso la porta alle spalle, Mackenzie inserì nel navigatore l’indirizzo che Dagney le aveva inviato. L’Officina Lipton era precisamente a diciassette minuti di strada dal motel, quindi si mise subito in marcia.

Essere da sola in macchina era strano, ma cercò di distrarsi con il paesaggio che offriva Miami. Era diversa da tutte le altre città di mare dov’era stata. Mentre le città più piccole situate vicino alla spiaggia davano l’impressione di essere sabbiose e quasi sbiadite, tutto a Miami pareva splendere e luccicare nonostante la vicina sabbia e gli spruzzi salati dell’oceano. Qua e là vide edifici che parevano fuori luogo, trascurati e derelitti, il che servì a ricordarle che ogni cosa aveva i suoi difetti.

Arrivò all’officina prima di quel che pensava, poiché si era distratta osservando la città. Parcheggiò in uno spazio affollato di auto e fuoristrada rotti che erano stati evidentemente saccheggiati in cerca di pezzi di ricambio. Sembrava uno di quei posti perennemente sull’orlo del fallimento.

Prima di entrare, Mackenzie osservò sommariamente il posto da fuori. Davanti c’era un ufficio fatiscente, al momento incustodito. L’officina annessa aveva tre scomparti, dei quali solo uno conteneva un’auto; era sul ponte, ma non sembrava che qualcuno ci stesse lavorando. Nell’officina, un uomo rovistava in una cassetta degli attrezzi. Un altro si trovava più in fondo, in piedi su una scaletta, intento a frugare tra vecchie scatole di cartone.

Mackenzie andò dall’uomo più vicino a lei, quello alla cassetta degli attrezzi. Doveva essere sulla quarantina, con i capelli unti che scendevano fino alle spalle. Sul viso aveva una lanugine che non poteva definirsi propriamente barba. Quando la vide avvicinarsi, le fece un gran sorriso.

“Ehi, dolcezza” disse con un lieve accento del sud. “Come posso aiutarti?”

Mackenzie gli mostrò il distintivo. “Prima di tutto, può smettere di chiamarmi dolcezza. Poi potrebbe dirmi se per caso è lei Mike Nell.”

“Sì, sono io” disse l’uomo, osservando il distintivo quasi con timore. Quindi tornò a guardarla in viso, come cercando di decidere se si trattasse di uno scherzo.

“Signor Nell, vorrei farle…”

L’uomo si voltò rapidamente e la spinse. Con forza. Mackenzie incespicò all’indietro e finì con i piedi contro uno pneumatico che era a terra. Mentre cadeva sul sedere, intravide Nell scappare. Stava uscendo di corsa dall’officina, guardandosi alle spalle.

La situazione è precipitata subito, pensò. Di sicuro è colpevole di qualcosa.

Il suo istinto l’avrebbe spinta a impugnare la pistola, ma questo avrebbe solo provocato un gran caos. Così si rialzò per partire all’inseguimento. Nel farlo, con la mano toccò un oggetto che era stato lasciato a terra. Era una chiave inglese, forse quella usata per rimuovere lo pneumatico sul quale era inciampata.

La raccolse e si mise subito in piedi. Si precipitò fuori dall’officina e vide Nell sul marciapiede, che stava per attraversare la strada. Mackenzie guardò velocemente a destra e a sinistra poi, vedendo che non c’erano macchine in arrivo, portò indietro il braccio.

Lanciò la chiave inglese con tutta la sua forza, facendole percorrere i cinque metri che la separavano da Nell e colpendolo in pieno alla schiena. L’uomo emise un grido di dolore e sorpresa prima di barcollare in avanti e cadere in ginocchio, finendo quasi di faccia a terra.

Mackenzie lo raggiunse di corsa, premendogli un ginocchio sulla schiena, senza lasciargli nemmeno il tempo di provare a rimettersi in piedi.

Gli bloccò le braccia dietro la schiena con presa ferrea. L’uomo tentò di divincolarsi, poi però si accorse che il movimento non avrebbe fatto altro che aumentare il dolore, dato che aveva le spalle tirate all’indietro. Con una rapidità che ormai aveva sviluppato grazie a mesi di pratica, Mackenzie prese un paio di manette dalla cintura e le schiaffò ai polsi di Nell.

“È stata una mossa stupida” gli disse. “Volevo solo farle qualche domanda… ma ho già avuto la risposta che cercavo.”

Nell non disse nulla, ma si arrese all’idea di non poterle sfuggire. Mentre li superavano delle macchine, li raggiunse di corsa l’altro uomo dell’officina.

“Che cavolo significa?” chiese.

“Il signor Nell ha appena aggredito un’agente dell’FBI” disse Mackenzie. “Temo che non potrà completare il suo turno di lavoro.”


***

Mackenzie osservò Mike Nell dal finto specchio nella stanza di fianco a quella degli interrogatori. Appariva nervoso e imbarazzato e aveva ancora in volto la stessa smorfia da quando Mackenzie l’aveva fatto rialzare da terra ammanettato davanti al suo datore di lavoro. Si mordeva nervosamente un labbro, il che era un segnale che probabilmente sentiva il bisogno di una sigaretta o un drink.

Mackenzie smise di osservarlo per studiare il fascicolo che aveva in mano. Raccontava la breve ma problematica storia di Mike Nell, scappato di casa a sedici anni, arrestato per piccoli furti e violenza aggravata per la prima volta a diciotto. Gli ultimi dodici anni della sua vita ritraevano un perdente problematico: aggressione, furto, effrazione, qualche soggiorno in prigione.

Al fianco di Mackenzie, Dagney e il capitano Rodriguez osservavano Nell con un’espressione vicina al disprezzo.

“Suppongo che lo abbiate visto molte volte in passato?” domandò Mackenzie.

“Già” disse Rodriguez. “E per qualche motivo, i giudici continuano a fargli una tirata d’orecchi e basta. La pena più lunga che ha scontato è quella per cui è appena uscito con la condizionale, e anche quella è stata solo di un anno. Se salta fuori che questo coglione è responsabile degli omicidi, i giudici dovranno mettersi la coda tra le gambe.”

Mackenzie passò il fascicolo a Dagney e si avviò alla porta. “Bene, adesso vediamo cos’ha da dirci” disse.

Uscì dalla stanza e rimase un momento nel corridoio prima di dirigersi a interrogare Mike Nell. Prese il cellulare e controllò se ci fossero messaggi da parte di Harrison. Immaginò che ormai fosse in aeroporto, e magari aveva parlato con altri famigliari per capire cosa stesse succedendo a casa… Era sinceramente dispiaciuta per lui e, anche se non lo conosceva così bene, avrebbe voluto poter fare di più.

Mettendo da parte le sue emozioni per il momento, rimise in tasca il cellulare ed entrò nella stanza degli interrogatori. Mike Nell la guardò senza celare la propria espressione sprezzante. Adesso però c’era anche altro. Non faceva nulla per nascondere il fatto che la stesse squadrando da capo a piedi, indugiando con lo sguardo più del necessario sui suoi fianchi.

“Quello che vede le piace, signor Nell?” gli domando sedendosi.

Evidentemente perplesso per la domanda, Nell fece una risatina nervosa e disse “Direi di sì.”

“Suppongo che sappia di essere nei guai per aver messo le mani addosso ad un agente dell’FBI, anche se si è trattato soltanto di una spinta.”

“E la chiave inglese che mi sono beccato?” chiese.

“Avrebbe preferito la pistola? Magari un proiettile in un polpaccio o una spalla per rallentarla?”

Nell non aveva niente da controbattere.

“È chiaro che non diventeremo amici” disse Mackenzie, “perciò saltiamo le formalità. Voglio sapere tutti i posti in cui è stato nell’ultima settimana.”

“È una lista lunga” disse Nell con fare provocatorio.

“Già, sono certa che un uomo come lei abbia un sacco di giri. Cominciamo da due sere fa. Dove si trovava tra le sei di sera e le sei del mattino seguente?”

“Due notti fa? Ero fuori con un amico. Abbiamo giocato a carte e ci siamo bevuti qualcosa. Niente di particolare.”

“C’è qualcuno che potrebbe confermare la sua versione a parte il suo amico?”

Nell scrollò le spalle. “Non lo so. C’erano altre persone che hanno giocato a carte con noi. Ma di che diavolo stiamo parlando?”

Mackenzie non vedeva il senso di tergiversare. Se non fosse stata così distratta da quello che stava succedendo a Harrison, lo avrebbe torchiato per bene prima di arrivare al punto, sperando che si sarebbe contraddetto se era lui il colpevole.

“Una coppia è stata assassinata nella propria abitazione due notti fa. E si dà il caso che sia una villetta a schiera dello stesso complesso dove lei è stato arrestato per tentata effrazione e violenza aggravata. Se mette insieme le due cose e aggiunge il fatto che è stato rilasciato con la condizionale da poco meno di un mese, questo la pone in cima alla lista dei sospettati.”

“È una stronzata” protestò Nell.

“No, è logica. Una cosa che deduco non le sia familiare, vista la sua lunga lista di precedenti criminali.”

Mackenzie intuì che avrebbe voluto controbattere, ma si fermò, tornando a mordersi il labbro. “Non sono più tornato là da quando sono fuori” disse. “Che diamine di senso avrebbe dovuto?”

Mackenzie lo guardò scettica per un istante, poi chiese: “E i suoi amici? Li ha conosciuti in prigione?”

“Uno di loro sì.”

“E anche loro si danno alle effrazioni e aggressioni?”

“No” ribatté. “Uno di loro ha un’accusa per violazione di domicilio che risale a quando era adolescente, però… non ucciderebbe nessuno. E nemmeno io.”

“Invece fare irruzione in casa di qualcuno e pestarlo a sangue va bene?”

“Non ho mai ucciso nessuno” ripeté. Era evidentemente frustrato e si vedeva che faticava a trattenersi dallo scagliarsi contro di lei. Ed era esattamente quello che Mackenzie aspettava. Se era lui il responsabile degli omicidi, era molto più probabile che si infuriasse e si mettesse sulla difensiva. Invece il fatto che si stesse sforzando di stare lontano dai guai, anche solo se si trattava di aggredire verbalmente un agente dell’FBI, dimostrava che probabilmente non aveva alcun legame con gli omicidi.

“D’accordo, allora mettiamo che lei non sia collegato a questi omicidi. Di cosa è colpevole? Devo pensare che stia facendo qualcosa che non dovrebbe. Per quale altro motivo avrebbe spintonato un agente dell’FBI per cercare di scappare?”

“Non dirò niente” disse. “Non senza un avvocato.”

“Ah già, dimenticavo che ormai è un esperto in questo gioco. Va bene… le faremo avere un avvocato. Però dovrebbe anche sapere come funziona la polizia. Sappiamo che è colpevole di qualcosa. E scopriremo di cosa si tratta. Perciò me lo dica ora e risparmi a tutti le seccature.”

Dopo cinque secondi di silenzio, era chiaro che non ne aveva alcuna intenzione.

“Mi servono i nomi e i numeri di telefono degli uomini con i quali sostiene di aver passato la serata due giorni fa. Me li procuri e, se il suo alibi sarà confermato, sarà libero di andarsene.”

“Va bene” grugnì Nell.

La sua reazione era un ulteriore indizio che probabilmente non era lui l’assassino. Sul suo volto non c’era sollievo, ma soltanto irritazione per il fatto di essersi trovato per l’ennesima volta in una stanza degli interrogatori.





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